L’Edipo, Kubrick e la paternità non richiesta

Ciao ame oggi è la festa del Papà e siccome sono un ragazzo molto sensibile alle ricorrenze (in particolar misura a quelle cattolico-patriarcali) vorrei elargire un consiglio cinematografico non richiesto che è Shining di Kubrick.
Dice che c’entra uno dei film più abusati dalla critica cinematografica mondiale con la ricorrenza cishetta a base di zeppole e binarismo? Eh n’attimo che mo ve lo dico.
Un aspetto ampiamente dibattuto tra i mille aspetti in cui questo capolavoro delirante e tecnico è stato sminuzzato negli anni è la questione dell’Edipo, che Kubrick utilizza sia a livello macro come metafora e costellazione simbolica di tutto il film che microscopicamente, piazzando qua e là tra le sequenze riferimenti al celebre mito psicanalitico e cosa c’è di più cishetto dell’Edipo freudiano non so ditemelo voi.
Sto aspettando.

Riassumiamo brutalmente l’Edipo: a sei anni il bambino, che ha finito di masturbarsi con gli orifizi non genitali del proprio corpo (le famose fasi orale e anale), inizia a guardarsi i genitali e di conseguenza intorno e vede mamma, verso la quale sperimenta un legame erotico (nel senso freudiano) e papà, che ovviamente vede come minaccia e vuole ammazzare (nel senso freudiano). Da questo feroce balletto simbolico e immaginifico il bambino trae spunto per gestire le proprie relazioni erotiche e affettive: l’Edipo, insomma, è una specie di palestra che ci accompagna, quando siamo piccolettə, dalla gestione autoriferita dell’affettività (godo attraverso me) alla gestione dell’Altro che sappiamo bene essere un clamoroso accollo e infatti non vedo il vantaggio evolutivo di questa cosa ma tant’è.
Quindi al di là di mamme, papà e bambini cismaschi rigorosamente eterosessuali, l’Edipo rappresenta una fase dello sviluppo che ci racconta più che altro come Specie. È, per dirla con le parole di quel simpaticone di Lacan, “una struttura costituita altrove rispetto all’avventura del soggetto, e nella quale egli deve entrare”.
Qualunque cosa questo significhi.

Ma torniamo a Kubrick. Come sappiamo il film è tratto da un libro di Stephen King che lo disconobbe perché non ne capì la filosofia pessimista e materialista sottesa: a Kubrick interessava raccontare l’Homo, non la vicenda di una famigliola sfortunata.
Già nella messa in scena è apparecchiata la dinamica edipica: madre, padre e bambino maschio, rinchiusi in un’enorme struttura fatta di ambienti stanze corridoi e labirinti insomma il set preferito dell’inconscio quando lo sgamiamo nei sogni. La triade freudiana per eccellenza si ritrova dunque in questo spazio psicodinamico a vivere le angosce del bambino ricacciato nelle relazioni genitoriali e guarda caso il piccolo Danny ha sei anni cioè diteme voi se me sto a inventà tutto.
Nel giro di mezz’ora i tre perdono la propria natura di persone reali per trasformarsi nelle rigide figurine che mettono in scena l’Edipo: madre protettiva, fragile e amata dal figlio, figlio intimorito dal padre sia per la propria incolumità che per quella della madre e manco a dirlo padre che diventa il predatore di entrambi.
Ma scioriniamo gli aspetti simbolici micro: la scena edipica per eccellenza è quella in cui Danny entra in camera e becca il padre da solo sul letto coniugale (=mi scopo tua madre). In una sequenza in cui entrambi si muovono e parlano con una lentezza innaturale che pare la meccanica – guardaunpò – di un sogno, Danny chiede al padre se ha intenzione di fare del male a lui o alla mamma e Jack gli risponde ma nooo tesoro non lo farei mai.
Mente.
Nella celeberrima scena del bagno rosso, Jack incontra lo spettro di mr. Grady (già figlicida) che gli mette contro la moglie e il figlio, dotato di poteri in grado di sabotare il suo progetto.
In più così, per distendere gli animi, Jack sogna di fare a pezzi la moglie e il figlio e le sue urla attirano la madre che inizia a nutrire qualche vago sospetto, entrando ufficialmente nella dinamica edipica.
Per pompare ancora di più la narrativa onirica e inconscia su cui Kubrick fa affidamento, entrano poi in scena personaggi e sfiatatoi simbolici che paiono appunto pescati da quel “teatro inconscio” che tanto faceva incazzare Deleuze: i due uomini mascherati impegnati in un pompino, la donna morta nella vasca da bagno, la cascata di sangue dalle porte degli ascensori e se proprio non t’è entrato in testa che stiamo assistendo alla messa in scena della componente universale e culturale dell’inconscio umano (Jung lo chiamerebbe “collettivo”), Kubrick ci coinvolge in una carrellata in steadycam dentro un cazzo di labirinto. Al termine della quale il padre, che ha braccato per più di un’ora di film la propria famiglia, finalmente muore.
Cioè. Dai.

Quindi auguri a tutti i padri possessivi ottusi e violenti che scambiano la famiglia per il piccolo ridicolo Stato di cui sono i monarchi, che hanno tirato su moltə di noi ame perché insomma questa festa è anche vostra ❤

#labirintinonrichiesti

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