Don’t Look Up e quella cosa che Netflix sta facendo all’Arte

Don’t Look Up è una sintesi eccellente di quello che Netflix sta facendo all’Arte: un prodotto confezionato benissimo, scritto benissimo, interpretato benissimo (Di Caprio e Streep ormai lavorano col bisturi ma si sapeva), trainato da un soggetto che rimane in piedi per tutta la sua durata, puntellato su un ritmo infallibile, sviluppato su tematiche contemporanee e “relatable”, confortato da contenuti moderni e politicamente corretti, memabile in ogni sua inquadratura, insomma il prodotto di un’ingegneria di marketing raffinatissima e da divorare in un boccone ma che manca all’appuntamento fondamentale di provocare fastidio, di spostare l’asse, di oltraggiare, di aggiungere o togliere qualcosa a ciò che sappiamo.

Si tratta di un elemento distintivo di tutte le produzioni Netflix ed è una sorta di patina dorata, una placcatura attraverso la quale il colosso audiovisivo, questo Videodrome dei Valori Liberal, mette in bella mostra ciò che un tempo il (buon?) cinema nascondeva affidandolo all’intelligenza dello spettatore, non correndo dunque alcun rischio, pur trattando tematiche “forti” con la pretesa di parlare di qualcosa che va oltre ciò che si vede, e replicando il format da binge watching che è alla base della filosofia di business della piattaforma: lo spettatore va incuriosito, attirato, assecondato anche nelle sue paure e non disorientato o minacciato. Viene fuori dunque una satira in salsa barbecue sulla comunicazione e sulla psicologia di massa, brillante e lucida ma educata e paracula che addita, esagerandoli in modo caricaturale, i limiti “degli altri” (perché noi che guardiamo ovviamente siamo troppo fighi): abbiamo così i media senza scrupoli, la solita Casa Bianca gravida di stronzi, i complottari decerebrati, gli imprenditori senza scrupoli, “laggente” che si muove sospinta dal vento, a seconda delle correnti. La sensazione dominante, che è l’effetto voluto da chi ha confezionato questo prodotto, è il sollievo per stare dalla parte giusta.

Certo non mi aspettavo Melancholia, cioè esiste una Convenzione Internazionale che stabilisce che film del genere, per la salute mentale di tuttə noi, non si possano fare a intervalli inferiori di vent’anni, però il soggetto, che appartiene a un certo tipo di cinema, avrebbe potuto aprire a discorsi un po’ diversi.Intendiamoci è davvero un bel film, fa anche riflettere, un pochetto turba ma è uno strumento confezionato con precisione, in cui tutto funziona perfettamente e all’unisono, governato da un sistema centrale che conserva la prestazione costante, privo di zone oscure o di elementi che te lo facciano odiare anzi, dotato di caratteristiche che ti fanno desiderare il prodotto successivo.

Praticamente è un iPhone.

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