La famiglia e altri accolli desueti

La famiglia, come è noto, è la più piccola suddivisione funzionale della società ed è composta il più delle volte da madre, padre, figliə, obblighi, cani, gatti, sensi di colpa, pesciolini rossi, mura domestiche, televisione, nudità imposte, urla, fantasmi, aspettative, collusioni, porte sbattute e altre cose che procurano nervosismo. La famiglia in tal senso è quella cosa che paga le bollette allə psicanalista ed è anche una delle principali fonti di bestemmie al mondo, motivo per cui sta così tanto a cuore alla Chiesa Cattolica: non si spiega altrimenti l’interesse morboso di un branco di uomini celibi, senza figli e in palandrana per questo istituto polveroso che disciplina i legami tra almeno due persone.
Capita spesso di imbattersi nell’immagine asettica, plastificata e tutto sommato ingiudicabile della famiglia tradizionale: succede spesso in pubblicità, è anche un clichè immancabile della propaganda catto-fascista sciorinata in occasione dei Family Day o del famigerato Congresso di Verona nel 2019, e può capitare di vederci qualcosa di sbagliato, che vibra sotto quella superficie serena, distesa, accuratamente allisciata, come nella sequenza di apertura di Shining con la famiglia Torrance che si reca sorridente verso la propria autodistruzione.
Non è un paragone campato in aria.
Cos’è, del resto, questa famiglia, perché viene associata all’amore incondizionato se poi le famiglie veramente felici finiscono per farci strano, quasi insospettiscono nella loro forma perfettoide. Nelle famiglie ci si odia, ci si mena, ci si colpevolizza, ci si traumatizza, a volte ci si stupra, la famiglia è semplicemente un insieme chiuso di persone all’interno del quale può succedere letteralmente qualunque cosa. L’amore è una di queste. Ma lo sono anche le botte al figlio adolescente che va a scuola con il rossetto. Lo sono anche le coppie in separazione che usano i bambini come armi per danneggiarsi. Lo è la mamma che si sbatte il maestro di Yoga ogni giovedì con la dedizione incrollabile di un’ape operaia. Troppo spesso confondiamo il contenitore con il suo contenuto: la famiglia è solo il carapace che ingabbia i legami, proteggendoli ma anche impedendo loro di sciogliersi con facilità. Non per niente il divorzio l’abbiamo ottenuto tardi e lottando. Del resto, e questo rimanga tra noi, ha ragione chi sostiene che l’arrivo del divorzio e la graduale fluidificazione dei ruoli di genere abbiano messo in crisi la famiglia tradizionale: ci mancherebbe pure, la famiglia tradizionale è letteralmente fondata sulla disparità di genere e sul sacrificio degli affetti in favore della sua autoconservazione.
Quindi sì, la famiglia tradizionale è in pericolo. E meno male.

Che poi, dati alla mano, la famiglia più diffusa allo stato attuale è quella formata da un uomo, da una donna, dallə figliə e dallə amanti. E che risate quando lə amanti sono dello stesso genere. Si tratta di forme spesso stabili che disegnano legami affettivi in un equilibrio anche ammirevole: la società, zitta e ipocrita come piace a chi sostiene i valori tradizionali, considera la pratica delle relazioni parallele non consensuali quasi una forma di mantenimento della struttura familiare, un modo per diversificare gli affetti e rimanere, almeno per un altro po’, uniti in forma compatta.
Poi ovviamente arriva la separazione: secondo l’ISTAT nel 2015, anno dell’introduzione del divorzio breve, su 1000 matrimoni si contano 300 divorzi, dato quasi raddoppiato rispetto all’anno precedente. Anche quella che si crea a seguito di una separazione è una famiglia, ed è tanto diffusa da potersi definire tradizionale. Abbiamo dunque un uomo, una donna, le rispettive eventuali nuove famiglie, i figli del primo matrimonio, quelli del secondo e di nuovo i cani, i gatti, i sensi di colpa, le botte, le urla, le porte sbattute tutto moltiplicato per due: una mitosi di accolli che può procedere all’infinito, con le famiglie che i figli formeranno, che hanno altissime probabilità di separarsi e di formare altri doppioni di quest’allegra e a volte insensata fabbrica di legami.

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Fa poi molto ridere il tentativo di classificare e dunque di “borghesizzare” la gemmazione delle varie forme alternative alla famiglia tradizionale definendole via via “omogenitoriali”, “omoparentali”, “arcobaleno“, quest’ultima probabilmente riferita all’unione tra due Mini-pony.

Che poi è anche un po’ colpa nostra: come frocə potevamo generare una nuova forma di coesistenza affettiva ma alla fine hanno vinto la pigrizia e il Capitalismo. Spiace anche perché questo assorbimento delle nostre unioni in quelle “tradizionali” comunque ci colloca a un livello differente rispetto alle coppie cisetero, tant’è che su un piano di giudizio morale per esempio non ci è concesso ancora di essere dei genitori di merda, come tutti gli altri: noi dobbiamo essere perfettə, trasudare amore (e possibilmente soldi) per crescere una generazione di bambinə felici, perché in qualche modo questa concessione dobbiamo meritarla, no?
Stiare una classifica tra famiglie più o meno meritevoli di essere definite tali genera inoltre il fortissimo imbarazzo mai realmente affrontato di guardare con la coda dell’occhio alle coppie eterosessuali senza figli per impossibilità o, Dio ce ne scampi, per scelta. A queste famiglie è concesso uno spazio intermedio, sono destinate a un purgatorio morale, una sorta di premio di consolazione perché in fondo, quando si parla di valori tradizionali, l’importante è partecipare per fare numero, per fare volume.
Parlando poi di tradizioni, la famiglia da difendere come valore è quasi sempre vista sotto la prospettiva politica che Banfield definiva familismo amorale: contano solo i membri del mio nucleo familiare, amo i miei figli più di ogni cosa al mondo, difendo i miei valori e quelli di chi mi assomiglia, la collettività viene dopo anzi a volte non arriva mai. A ben vedere, è questa la forma di famiglia che minaccia la coesione sociale, ed è esattamente la famiglia magnificata a colpi di cazzo dai reazionari.
I miei vicini del piano di sopra sono giovani e hanno avuto un figlio da poco. Li ho sentiti scopare per mesi con quell’unico obiettivo: sei-sette colpi di molla del letto e buona lì. Adesso il frutto di quel rumore si sveglia puntualmente alle quattro del mattino, frigna, lui si getta letteralmente dal letto e si precipita dal piccolo sbattendo i piedi come se stesse pestando degli scorpioni per raggiungerlo. Non sta morendo, stai tranquillo, piange perché è al mondo da poco tempo ed evidentemente ancora si ribella all’idea. Lui però non sembra saperlo e sveglia anche me nella sua agitata neogenitorialità. Ci svegliamo un po’ tuttə e chissà quanto andrà avanti ancora. Quindi ecco una nuova forma di famiglia: lei, lui con i suoi rumorosi piedoni, il pargolo e pochi centimetri in basso io, che mi sveglio con loro e partecipo al miracolo di questo nuovo, ennesimo e non richiesto accumulo di obblighi, cani, gatti, sensi di colpa, pesciolini rossi, mura domestiche, televisione, nudità imposte, urla, fantasmi, aspettative, collusioni, porte sbattute e altre cose che procurano nervosismo.

La famiglia, in altre parole.
Checcojoni.

3 risposte a "La famiglia e altri accolli desueti"

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  1. Analisi lucida che condivido in ogni dettaglio, essendo ormai in avanzata seconda età ed avendo toccato quasi tutte le stazioni di questa transiberiana esistenziale.
    Nella famiglie lo spontaneismo non esiste, se non nei rigurgiti di qualche pargolo, ed uccide l’individuo, ma non per cattiveria futile: per cannibalismo a scopo nutrizionale. Si è formata dentro le caverne con finalità protettive e di prosecuzione della specie, è diventata dopo migliaia di anni una condanna per l’aver manifestato dei sentimenti.
    Forse un giorno lontano troveremo forme diverse di aggregazione che raggiungano lo scopo di formare anche emotivamente degli individui senza creare dei mostri, per adesso i mostri si autogenerano in noi senza preavviso quando costretti in quattro mura per mancanza di alternative: mostri che sono di volta in volta padri, madri, figli, figlie, pesci rossi.

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